Marzo 2002

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di Ivano Conti
Non so quanti conoscano questo autore. Per quel che mi riguarda
sono venuto a conoscenza della sua esistenza meno di due mesi
fa grazie a un amico, nonostante il disco di cui racconto qui
di seguito risulti essere del lontano 1982. E mi vergogno di non
averlo mai conosciuto prima, vista la qualità dell'opera
in questione, perché è uno di quegli autori che
sono in grado di attirare l'attenzione, e saper stupire per la
genialità della loro semplicità. Non so se il disco
sia attualmente in commercio, e nel caso non lo fosse sarebbe
un vero peccato perché non faticherebbe a trovarsi un posto
di diritto tra mostri sacri della canzone italiana come De Andrè,
De Gregori o Guccini. E' un disco figlio del suo tempo in quanto
le molte influenze dei cantautori dell'epoca e le sonorità
inglesi degli anni '70 sono molto presenti. Ma lo sguardo al rock
sinfonico appena concluso, nelle fase di composizione e arrangiamento
dei brani, è la chiave di lettura che valorizza il lavoro
di Flavio Giurato. Le musiche, in particolare, sono curatissime
e suonate ad altissimi livelli. Molte sono le "trovate"
geniali: per la ricchezza di spunti e soluzioni risulta essere
un disco fuori dal comune.
L'inizio è la fine. Ovvero: il disco inizia come se fosse
appena finito un concerto, seguito da un leggerissimo duetto di
chitarre acustiche. E il cantato regala subito una prima verità:
"amore, non andare coi cantautori, che poi finisci nelle
canzoni". Una voce calda, quasi sofferta, rafforzata a volte
da una voce alta, a volte da una voce in falsetto, offre una interessante
ambiguità su quale sia la natura del protagonista del brano.
Sono voci che ricordano il Battisti più elegante e ricercato.
E' un semplicissimo brano, ma breve e denso, a tratti struggente.
A seguire, la canzone "L'acchiappatore dell'acqua",
accattivante fin dal titolo. L'intro sembra quasi rimandare al
primo Fabio Concato. La sorpresa è nel cantato iniziale
in inglese, successivamente raddoppiato da un'altra voce portante
che canta in italiano. E' un brano bluseggiante, con interessanti
giri di accordi e ottimi stacchi che spezzano improvvisamente
la canzone, regalandogli una varietà di esecuzione e un
ascolto più che piacevole.
"Orbettelo", "Orbettello ali e nomi" sono
i brani che seguono, ma, pur avendo titoli diversi, risultano
essere un'opera unica. L'inizio è decorato da uno splendido
pianoforte e voce. Il testo narrativo, anche se forse un po' criptico,
e il modo in cui è cantato pongono Flavio Giurato tra un
De Gregori e un Massimo Bubola. Nello sviluppo del brano vi si
trovano interessanti modulazioni, con ingresso di percussioni
e sax, per poi calmarsi e tornare all'atmosfera iniziale. Il finale,
con una decisa batteria che entra su rullate e tom, un basso molto
presente e una chitarra elettrica pulita che marca gli accordi
e abbellisce con leggerissimi riff, risulta essere molto frenetico.
Flavio racconta, descrive gli abitanti di Orbetello con schietta
realtà, offrendo quadri quasi rustici. Interventi di sax
rendono il tutto più originale. Gli stacchi precisi conferisco
un andamento crescente, fino a sfociare in un aumento di ritmo
marcato dalle percussioni, dove il pianoforte si esprime in un
ottimo solo finale, quasi jezzato per via di alcune dissonanze
negli accordi.
La semplice canzone che segue, "La stanza del mezzosogno",
è un brevissimo e riuscito brano strumentale per sola chitarra.
"Valterchiari" comincia con duri accordi arpeggiati
di pianoforte. La melodia iniziale, in parte parlato e in parte
cantata, ricorda ancora De Gregori, e un autore che, nel tempo,
viene dopo Flavio Giurato: tale Vinicio Capossela. L'ingresso
in sordina degli archi, offrono un pathos d'ottimo impatto e regalano
un crescendo che accompagna benissimo la voce fino al ritornello.
Un inaspettato solo di saxofono colora la scena musicale. Poi
un leggerissimo basso suonato nelle note alte riporta la voce
di cui si sente quasi la mancanza. Tornano infine gli archi che
si interrompono per cambio di accompagnamento del pianoforte che
porta il brano alla sua fine. "Valterchiari" è
una canzone da ascoltare e riascoltare, fino a consumare il disco,
perché i crescenti e i cambi di atmosfera sono splendidamente
esposti, e non vi si riesce mai a trovare un solo istante in cui
ci si possa in qualche modo "annoiare".
"Marcia nuziale" comincia con chitarra acustica, un
lontanissimo basso e la voce di Flavio. Risulta ottimamente suonato,
forse il più preciso di tutto il disco. L'ingresso di batteria
sul charleston dà un'apertura alla splendida atmosfera.
Il testo è molto interessante e va ascoltato con attenzione
per carpirne tutte le sfumature. Nel suo svolgimento troviamo
brevi abbellimenti di basso con un leggero flanger. La chitarra
classica in sottofondo offre spunti molto interessanti. Ma la
caldissima atmosfera viene interrotta all'improvviso da un cambio
di atmosfera a metà brano, con geniali spunti musicali
che offrono un interessante finale il rischio di una interruzione
del genere potrebbe portare all'uccisione del brano stesso. Invece,
la genialità di Flavio Giurato, riesce a rendere vivo il
tutto, senza rovinare la natura della canzone, concludendo con
naturalità nella precedente atmosfera.
"Il coro dei ragazzi", si riallaccia come musica e melodia
a "Marcia nuziale", quasi ad esserne il vero finale.
E' un coro goliardico di voci maschili su base di chitarra e percussioni.
"Simone" è una ballata sociale tranquilla e allo
stesso tempo struggente, fatta di chitarra e percussioni, molto
vicina a "Pablo" di De Gregori,". Forse Giurato,
rendendosi conto della somiglianza con l'artista romano, decide
appositamente di cambiare totalmente atmosfera a metà esecuzione,
con una batteria che picchia forte su tom e timpani, quasi volesse
ribadire che nella sua musica non vi è nulla di scontato.
"Il tuffatore" sfrutta l'idea iniziale de "L'acchiappatore
dell'acqua" in quanto Flavio canta prima in inglese e poi
in italiano. L'inizio di chitarra e voce richiama i Pink Floyd
di "wish you were here". Il breve brano è molto
semplice, melodicamente convincente, grazie e soprattutto al modo
in cui è cantata.
"La scuola di congas" offre una introduzione di chitarra
elettrica pulita. Molto interessanti sono le voci che si sovrappongono,
quasi parlate, unite dalla voce portante che risponde ai cori
maschili lontani. La ballata acquista corpo con l'ingresso ad
uno a uno degl'altri strumenti, regalando sonorità molto
interessanti. Vi sono echi lontani delle ballate dei Pink Floyd
di "Dark side of the moon", anche se solo lontanamente
accennate. Un ottimo basso duetta con un saxofono nella parte
centrale del brano. Il finale regala altri spunti sulla varietà
di atmosfere e di soluzioni, di cui è piena la valigia
della genialità di Flavio.
"Notte di concerto" è la chiusura del disco.
Nel testo vi si trova un riassunto di quanto è stato cantato,
con citazione dei vari brani, quasi a voler sottolineare l'unità
di tutta l'opera, considerando il tutto un vero e proprio concept
album. E seppure l'idea non è del tutto nuova (i Beatles
di Sgt. Pepper ne sono i padri), viene sviluppata in una varietà
di soluzioni e trovate che la fanno risultare la degna e giusta
conclusione di questo bellissimo disco.

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